Teoria keynesiana

Pubblicato il 27 ottobre 2025 alle ore 19:49
Teoria Economica Keynesiana — Guida Completa

La Teoria Economica Keynesiana — Guida Completa

Una spiegazione dettagliata del pensiero di John Maynard Keynes, le sue origini, i principi fondamentali e l’impatto sulla politica economica moderna.

1. Origini e contesto storico

La teoria keynesiana nasce negli anni Trenta del Novecento, in un periodo segnato dalla Grande Depressione del 1929. Le economie occidentali erano sprofondate in una crisi profonda, caratterizzata da crollo della produzione, disoccupazione di massa e deflazione.

I modelli economici neoclassici, basati sull’equilibrio automatico dei mercati, non riuscivano a spiegare né a risolvere quella crisi. Fu in questo contesto che l’economista inglese John Maynard Keynes (1883–1946) pubblicò nel 1936 la sua opera più celebre: “The General Theory of Employment, Interest and Money”, che rivoluzionò completamente il modo di pensare l’economia.

2. Le idee fondamentali

Keynes introdusse una visione nuova rispetto all’ortodossia neoclassica. Secondo lui, i mercati non si autoregolano sempre e possono rimanere in equilibrio con disoccupazione elevata e risorse inutilizzate. Per questo, è necessario un intervento attivo dello Stato nell’economia.

Principi chiave:

  • Domanda aggregata: la produzione e l’occupazione dipendono dal livello della domanda complessiva di beni e servizi nell’economia.
  • Consumo e investimento: il reddito determina il consumo, ma l’investimento dipende dalle aspettative e dal tasso d’interesse.
  • Paradosso del risparmio: se tutti risparmiano di più, la domanda diminuisce e la produzione cala, riducendo il reddito complessivo.
  • Moltiplicatore keynesiano: un aumento della spesa pubblica o privata genera un incremento più che proporzionale del reddito nazionale.
  • Intervento pubblico: lo Stato deve stimolare la domanda tramite spesa pubblica, investimenti e politiche fiscali espansive.
“Il vero problema non è tanto sviluppare nuove idee, quanto sfuggire alle vecchie.” — J.M. Keynes

3. Il ruolo dello Stato

Per Keynes, l’economia può trovarsi in una situazione di equilibrio con disoccupazione. Ciò avviene quando la domanda aggregata è insufficiente a garantire piena occupazione. In questi casi, lo Stato deve intervenire per stimolare la domanda attraverso politiche fiscali espansive, come l’aumento della spesa pubblica o la riduzione delle imposte.

4. Il moltiplicatore keynesiano

Il moltiplicatore misura quanto aumenta il reddito complessivo in seguito a un incremento iniziale della spesa autonoma (pubblica o privata). Se lo Stato investe 1 miliardo in infrastrutture, questo denaro circola nell’economia generando redditi, consumi e nuovi investimenti a catena, finché l’effetto complessivo è multiplo dell’investimento iniziale.

5. Politica monetaria e tasso d’interesse

Secondo Keynes, il tasso d’interesse non è determinato dal risparmio e dall’investimento, ma dalla preferenza per la liquidità: gli individui scelgono tra detenere denaro o investire. Quando la fiducia è bassa, preferiscono liquidità, e anche tassi bassi non stimolano gli investimenti (trappola della liquidità).

6. Disoccupazione involontaria

Per i neoclassici, la disoccupazione è volontaria: i lavoratori rifiutano salari più bassi. Per Keynes, invece, la disoccupazione è involontaria: deriva da una domanda aggregata insufficiente. Anche se i salari scendono, le imprese non assumono se non possono vendere i loro prodotti.

7. Politiche keynesiane nella pratica

Le idee di Keynes influenzarono fortemente la politica economica del dopoguerra. Gli Stati Uniti, con il New Deal di Roosevelt, applicarono misure keynesiane come grandi opere pubbliche, sussidi e controllo della disoccupazione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i paesi occidentali adottarono politiche di welfare state e di stabilizzazione della domanda.

8. Critiche alla teoria keynesiana

  • Inflazione: troppa spesa pubblica può generare inflazione e deficit di bilancio.
  • Debito pubblico: le politiche espansive possono aumentare fortemente il debito statale.
  • Rigidità dei mercati: la teoria sottovaluta la capacità di aggiustamento dei prezzi e dei salari.
  • Critiche monetariste: economisti come Milton Friedman sostennero che la vera causa delle crisi è la cattiva gestione della moneta, non la domanda.

9. L’eredità di Keynes

Nonostante le critiche, la teoria keynesiana ha gettato le basi della macroeconomia moderna. Le politiche economiche di stabilizzazione, i bilanci pubblici anticiclici e la gestione della disoccupazione derivano direttamente dal pensiero di Keynes.

Negli anni 2000, durante la crisi finanziaria globale, molti governi hanno riscoperto le teorie keynesiane, applicando politiche di spesa pubblica per sostenere la crescita e salvaguardare l’occupazione.

10. Differenze tra Keynesiani e Neoclassici

Elemento Neoclassici Keynesiani
Equilibrio di mercato Automatico, grazie al prezzo Possibile disoccupazione anche in equilibrio
Determinante principale Offerta e produttività Domanda aggregata
Ruolo dello Stato Minimo, correttivo Attivo e stimolante
Disoccupazione Volontaria Involontaria
Politica economica efficace Monetaria Fiscale (spesa pubblica e investimenti)

11. Keynes e il pensiero moderno

Oggi, la maggior parte delle economie sviluppate utilizza una sintesi neoclassico-keynesiana: i mercati funzionano bene nel lungo periodo, ma nel breve servono interventi pubblici per stabilizzare la domanda e combattere la disoccupazione.

“Nel lungo periodo saremo tutti morti.” — J.M. Keynes
© 2025 — Sintesi didattica completa sulla Teoria Economica Keynesiana. Documento educativo per uso scolastico e divulgativo.